di Alessandro Baroncini, Vice Direttore Generale AcegasAps
(tratto da www.ipadovaoggi.it)
La crisi generale globale dichiaratamente esplosa nell’autunno del 2008, e che da allora non ha ancora cessato di dare effetti negativi sulle economie dei singoli paesi, ha riproposto importanti temi collegati all’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità delle attività e dei servizi (le 3 E).
E’ indubbio che sono aspetti gestionali che le aziende dovrebbero affrontare nelle strategie dell’operare quotidiano, indipendentemente dal momento economico in cui si trovano, cercando di muoversi correttamente e sapientemente attraverso le regole dettate dal mercato e dalla competitività.
E’ però altrettanto vero il fatto che quando la situazione aziendale segue i binari di uno scenario generale positivo, sono molte le aziende che, pur nel passare del tempo, preferiscono impostare solo lievi aggiustamenti di percorso senza mai credere di dovere disegnare nuove rotte (riorganizzazioni strategiche).
E’ chiaro che qualunque manovra capace di apportare radicali cambiamenti necessita, sempre e comunque, l’investimento di energie e di risorse, e che, pertanto, in periodi di difficoltà le stesse saranno difficilmente recuperabili.
In questa fase di crisi, quindi, tutte le imprese, dalla piccola azienda alla società multinazionale, si trovano davanti alla necessità di riesaminare la validità delle proprie scelte strategiche, proprio alla luce delle nuove ridotte risorse disponibili.
Valutazioni che sulla carta potrebbero sembrare facili, ma che da sempre i fatti hanno dimostrato che potersi poi rivelare, proprio per la delicatezza del momento in cui sono attuate, dannose, o addirittura fatali, alla prosecuzione della vita dell’azienda stessa.
E se poi le considerazioni sulla scarsità delle risorse e le 3 E, quali principi base di risultato all’interno di un processo di analisi delle performance di gestione, diventano le determinanti gestionali per la valutazione della fornitura di un servizio pubblico locale, allora la questione diventa ancor più delicata e complicata.
Davanti ad una situazione di crisi generale diffusa e distribuita sul territorio, così come la stiamo vivendo, la popolazione cerca a fronte di minori redditi (attuali e/o di prospettiva), a contenere le proprie spese anche contraendo i consumi (per quantità o per qualità).
L’azienda, quando operante nel settore privato, rispetto al verificarsi di una tale situazione tende ad adeguare la propria attività rispetto alla domanda, ossia diminuire la quantità prodotta e su di questa eventualmente alzare il prezzo, oppure demandare a terzi (subfornitura) o delocalizzare una parte della propria produzione, e, infine, può scendere con la qualità di prodotto.
Ma è diverso il caso delle aziende operanti nel settore pubblico, e in particolare modo delle aziende che svolgono la propria attività per la fornitura di servizi pubblici locali.
Servizi che sono visti e vissuti non solo come beni del territorio, ma anche come strumenti di supporto alle categorie economicamente e socialmente più deboli.
E’ chiaro, perciò, che per riuscire a mantenere la qualità del prodotto e dei servizi forniti è necessario per una società fornitrice di servizi pubblici (utilities) trovarsi in questo momento storico, dettato da scarsità di risorse e mezzi economico-finanziari, con già alle spalle una acquisita e consolidata attenta gestione 3 E.
La multiutility AcegasAps, o più precisamente il suo gruppo composto di 18 aziende operative, ha in questi anni attuato una attenta politica di indirizzo gestionale che oggi viene gestionalmente ampiamente ripagato. La perfetta conoscenza del territorio e la sintonia con le politiche locali hanno permesso l’applicazione di tre importanti processi: a) di dismissione di asset minori o non prioritari e con la ricerca di porre l’attenzione su di un portafoglio di attività a capacità reddituale maggiore; b) di industrializzazione dei servizi, ossia la scomposizione delle attività svolte nelle sue componenti di base per poi ottimizzare la performance (riducendo anche i costi) all’interno di ciascuna; c) di internazionalizzazione rivolgendosi ai mercati ancora in fase di crescita dei paesi dell’Est europeo.
Se da una parte questa politica ha permesso di generare nel bilancio 2010 ricavi netti pari a 506 milioni di euro (+6,1% rispetto al 2009) con un utile netto di 22,1 milioni (+104,6% rispetto al 2009), dall’altra bisogna porre attenzione alle ingenti somme destinate agli investimenti: 96,7 milioni di euro (28,4 milioni di euro per l’area ambiente; 27,2 milioni di euro per il ciclo idrico integrato; 17,9 milioni di euro per l’area della distribuzione del gas; 15,4 milioni di euro per i servizi e 7,9 milioni di euro per l’area dell’energia elettrica) per un valore che corrisponde a 3,6 volte l’utile netto.
Inoltre, AcegasAps, così come altre multiutility, si trova oggi ad affrontare, con la normativa vigente, due ulteriori grandi sfide: 1) reperire i nuovi necessari ingenti capitali per sviluppare gli investimenti nel settore del ciclo idrico integrato: si parla di oltre 60 miliardi di euro nei prossimi 10 anni per il completamento infrastrutturale; 2) reperire spazi e consensi per la realizzazione di impianti efficienti per lo smaltimento dei rifiuti così da operare verso il completamento e l’ottimizzazione della filiera dell’ambiente.
Quindi, la mission e la vision pubblica che in maniera chiara l’AcegasAps è finora riuscita a perseguire, riuscirà ancora a svolgersi nei prossimi anni oppure, inevitabilmente, ci si dovrà (ri)confrontare con le logiche di un processo di privatizzazione e/o liberalizzazione dei servizi, già visto e affrontato durante la crisi dei primi anni ’90 (ad esempio la privatizzazione di Bnl, Credito Italiano, Banco di Roma, Enel e Telecom)?